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Anche nella “democrazia 2.0″, l’opinione pubblica deve essere informata e non tifosa

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La crisi economica ci porta ad una riflessione. La questione è la comprensione della realtà contemporanea, la globalizzazione e la sua gestione. Dahrendorf afferma che una cosa era la democrazia ai tempi degli stati nazione, un’altra è adesso con le realtà sovrannazionali come ad esempio l’Europa, e come i gruppi privati d’interesse che pesano sulle decisioni a livello globale. La democrazia deve fondarsi su elementi semplici di comprensione per permettere al demos, al popolo, di esprimersi in base alle proprie conoscenze, e oggi tutto ciò non appare possibile, i votanti hanno una competenza a scartamento ridotto, facilmente manipolabile a fini strumentali e ideologici. La vacuità di una informazione astratta su questioni complessissime che si traduce in una competenza del nulla.

L’opinione pubblica, il voto, la scelta dei rappresentanti, si basa su una conoscenza non più immediata, come nelle paleo-democrazie, non più fruibile da tutti, ma tecnica, complessa, molteplice. Quando il cittadino è chiamato a pronunciarsi lo fa su questioni apparentemente chiare, ma in realtà sconosciute perché tecnicamente complesse, come è complessa la macchina sociale ed economica della contemporaneità. E questo provoca un fenomeno complesso, ossia, la diminuzione del livello di rappresentanza popolare, dal momento che le decisioni reali sono demandate agli organismi democraticamente eletti e che dovranno decidere su questioni che i cittadini pensano di conoscere ma in realtà non è così. Il cittadino ha una conoscenza a scartamento ridotto, in pillole, ed in termini di gadget, paragonabili ai codici interpretativi di una partita di calcio, sport di cui tutti parlano ma realmente conosciuto, nelle sue pieghe tecniche, da un tifoso su dieci.

Le grandi scelte politiche devono essere compiute su fenomeni finanziari complessi, su questioni energetiche determinanti e definite, su riforme di istituzioni nazionali e sovranazionali – le narrazioni massmediatiche di queste questioni sono delegate a testate, programmi, tribune giornaliste che in nome della propria autoreferenzialità congenita, delle logiche dello share e del consumo, e delle appartenenze politiche, quasi mai possono, o sono in grado, di offrire una informazione credibile e corretta e dialettica su questi temi. Il giornalismo, in questo senso, ha una competenza sul “come” raccontare, ma spesso ha una incompetenza, sottotraccia pure compiaciuta, sul “cosa” si sta raccontando.

Anche i governi sono in difficoltà. Se da un lato il cittadino ha sospeso – pur non avendone coscienza ma, anzi, pensando l’esatto contrario – la propria sovranità sui reali temi decisionali, anche i governi stanno rinunciando a parte delle loro prerogative nell’incontro/scontro con i grandi interessi internazionali pubblici ma sempre e ancor più surrettiziamente pubblici ma in realtà privati.

Nessuno dubita che la democrazia sia il migliore tra i potenziali regimi politici e di governo. Non è in discussione in valore in sé della democrazia, ma sono in discussione le sue modalità di esercizio di fronte agli scenari del contemporaneo. La chimica della democrazia è fuori discussione, ma in questo momento si sta sclerotizzando la sua fisica. Non quadrano, assolutamente non quadrano, le equazioni di relazione tra le libertà personali e le esigenze del bene comune, tra governabilità e autonomia degli organi di governo, per non parlare, poi, della legalità e della solidarietà.

In questa realtà fluttuante è vitale il rispetto delle regole del gioco, è vitale il fair play tra le parti, è vitale il rispetto delle differenze in ottica di costruzione di un futuro comune globale e non parziale, ma allo stesso tempo è vitale che ognuno accresca e rafforzi le proprie idee e le proprie competenze. Se governare è una scommessa rischiosa, allora bisogna avere il reale appoggio dei cittadini, bisogna ottenere la contiguità dei cittadini, una vicinanza che non sia solo contingente e umorale, come quella dei tifosi ad un allenatore, ma che sia una vera reale condivisione di temi, argomenti ed ipotesi di trasformazioni. Non un cittadino ignorante allevato a gadget di vuoti a perdere di comunicazione, ma un cittadino realmente informato e che possa condividere informazioni.

Come fare? Difficile a dirsi, quasi impossibile, tanto vale arrendersi? Si potrebbe riformare il servizio pubblico, ma basterebbe? No. Pessimismo giustificato.

Una sfida fondamentale potrebbe essere quella di implementare la vicinanza tra società e istituzioni, tra cittadino, burocrazia e politica. Si può lavorare su una informazione politica non strumentale ad obiettivi politici predefiniti, ma volta alla competenza sociale. Si potrebbero ulteriormente implementare tutte le formule di interazione sociale, in tempo reale, tra società e politica, ma senza scadere in derive utopistiche e demagogiche da “democrazia diretta” e senza puntare all’allevamento di pasdaran digitali, nuovi ignoranti di una nuova magnificazione tecnologica della propria inconsapevolezza. Anche Rousseau lo insegnava. Il grande scontro è quello tra l’interesse generale (quello del corpo sociale nella sua organicità) e l’interesse di tutti (quello delle singole individuali parziali contrapposte categorie sociali). Il bene della nazione, pensava Rousseau, è nell’interesse generale ed il miglior modo di incarnarlo è quello della democrazia diretta: ma la democrazia diretta, diceva, funziona solo nelle piccole comunità. Per quelle grandi, ci vogliono altre forme di governo.

E allora, ci piace la democrazia? Allora salviamola. Con cittadini competenti, non tifosi, ma informati, non dico tecnici ma neanche ignoranti tronfi della propria ignoranza e agiti e aizzati – da una politica che non informa e da una informazione che non fa informazione – come mere pedine di scambio nei flussi elettorali e in quelli di audience e in quelli di consumo.

Oops. Verrebbe quasi da dire una parolaccia, rimossa da tutti i programmi politici di tutti i partiti e di tutti i governi italiani… è una questione di conoscenza, quindi di cultura.


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